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di Silvia Morosi Riuniti nella rappresentanza voluta dall’Onu, sono africani, sudamericani, siriani, afghani. ai Giochi Olimpici e Paralimpici portano con sé storie di persecuzione. Che lo sport sa riscattare Lo sprinter Dorian Keletela, 22 anni, da Brazzaville (Congo). Da adolescente ha perso entrambi i genitori in guerra. Nel 2016 si è rifugiato in Portogallo con una zia (foto Unhcr/ Ricardo S. Alves) Masomah Ali Zada era al settimo cielo dalla felicità quando entrò a far parte della squadra femminile di ciclismo dell’Afghanistan. Non aveva fatto i conti con chi si ostina a ritenere, ancora oggi, che sia immorale per il genere femminile avvicinarsi a una bicicletta. Costretta a lasciare il suo Paese, la piccola regina di Kabul ha continuato a seguire il suo sogno in Francia. Come lei l’iraniana Kimia Alizadeh, che, entrata a sette anni nella palestra della sua città, si è innamorata del taekwondo. Conquistando, a 18, il primo oro olimpico femminile della sua nazio

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