"La proroga del blocco dei licenziamenti al 30 giugno? E' la soluzione più semplice, ma se serve a preparare la 'fase 2', ossia consente di avviare in questi mesi le politiche attive del lavoro, ha un senso. Se invece serve solo a spostare più in là il licenziamento, arriveremo a giugno impreparati e il problema, anziché essere risolto, sarà ancora più grave, perché ci sarà un 'effetto cumulo'". Lo dice, ad Adnkronos/Labitalia, Maurizio Del Conte, giuslavorista, e presidente di Afol Metropolitana, a proposito dell'ipotesi che il Dl Sostegno possa prorogare il blocco dei licenziamenti al 30 giugno. "Tutto non tornerà come prima: alcune aziende -aggiunge Del Conte-andranno bene, ma altre chiuderanno definitivamente: per i lavoratori di queste aziende dovremo trovare uno sbocco lavorativo, dovremo accompagnarli nel processo di transizione da un lavoro ad un altro. E questo non è passaggio banale perché in questo Paese non si è mai fatto". Insomma, ribadisce Del Conte, "la proroga del blocco dei licenziamenti da sola non ci fa vedere questo periodo di transizione verso la normalità". "Manca anche quella misura selettiva che si immaginava, perché la pandemia non colpisce tutte le imprese allo stesso modo. Tanto è vero che anche per i ristori viene messo un limite nella misura della perdita di un terzo del fatturato", aggiunge l'ex presidente dell'Anpal. "Voglio pensare che la proroga sia fatta in attesa del Pnrr, in attesa cioè che questo possa dispiegare i suoi effetti e prima dell'estate possa mettere a terra alcune nuove strumentazioni", osserva Del Conte proseguendo: "Siccome è stato detto che il Pnrr sarà riscritto, mi auguro si metta mano al tema delle politiche attive, che nel piano attuale è trattato in maniera del tutto insufficiente". Nella bozza di Pnrr licenziata dal precedente governo, osserva Del Conte, "si punta molto sulle attività burocratiche, sulla presa in carico del disoccupato da parte dei centri per l'impiego, ma non c'è l'aggancio con la formazione, mentre il più grande problema italiano rimane il disallineamento tra le competenze sul mercato e le richieste delle aziende". "Basti pensare alle skills digitali: la pandemia ha accelerato moltissimo la loro richiesta -conclude Del Conte- e oggi ci troviamo come ci saremmo trovati, in condizioni normali, tra 5 anni". Sull'eventuale obbligatorietà di vaccinazione per il rientro al lavoro in azienda, Del Conte osserva: "Oggi la questione dell'obbligo della vaccinazione sui luoghi di lavoro viene discussa nel peggior luogo possibile: le aule dei tribunali, perché manca una legge che regoli in maniera chiara la questione". "L'art. 32 della Costituzione consente l'obbligo di trattamento sanitario solo in presenza di legge -ricorda Del Conte che è stato anche presidente dell'Anpal- e già in passato questo obbligo è stato imposto con norme specifiche a determinate categorie di lavoratori e per determinati agenti patogeni, come l'epatite. Non vedo perché, in una situazione come quella attuale, non si debba introdurre l'obbligo vaccinale sul Covid". "Naturalmente -prosegue Del Conte- deve essere una norma che imponga il vaccino a condizione che il vaccino sia disponile. Ma questa è una tecnica normativa consolidata". "Sull'obbligatorietà dei vaccini per il Covid per lavorare in azienda o in ufficio finora c'è stata una reticenza politica, ritenendo forse la materia molto sensibile. Ma ora il governo deve decidere se vale di più il diritto di scelta di non vaccinarsi o la tutela della salute pubblica" aggiunge il presidente di Afol Metropolitana. "Oggi il rifiuto a vaccinarsi è un atto legittimo -chiarisce Del Conte- perché se non c'è obbligo di legge ho il diritto a non vaccinarmi. Ma non si capisce perché allora per alcune professioni questo obbligo è stato introdotto e per agenti patogeni meno devastanti del Covid. Il fatto è che l'obbligo di vaccinazione per rientrare al lavoro è un dispositivo di salute e sicurezza dei lavoratori". Sulla questione dei vaccini da imporre ai lavoratori prima di rientrare in azienda, "oggi i datori di lavoro si trovano tra l'incudine e il martello: da un lato, devono garantire la salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, dall'altro c'è il diritto della persona a scegliere di non vaccinarsi" dice Maurizio Del Conte. "E se allontana, o addirittura licenzia, il dipendente che non si è voluto vaccinare rischia un'impugnativa legale del provvedimento da parte del lavoratore licenziato o allontanato. Se invece non lo allontana, e qualcuno viene contagiato sul luogo di lavoro, la causa gliela fanno gli altri lavoratori che lui non ha tutelato", avverte. "E' un cane che si morde la coda, una situazione paradossale che va risolta con una legge, anche perché oramai i contagi da Covid sui luoghi di lavoro, come ha certificato l'Inail, sono tantissimi", conclude. (di Mariangela Pani)